martedì 26 ottobre 2010

L’Italia manovra da ferma


pubblicato il 26 ottobre 2010

In Francia e Inghilterra tagli e riforme creano proteste, ma anche reali cambiamenti.
Nel nostro Paese invece l’immobilismo non fa altro che consolidare la situazione attuale.
La Francia che esplode, l’Inghilterra che promette lacrime e sangue come ai tempi di Winston Churchill e nella seconda guerra mondiale. E l’Italia, lì immobile, prigioniera del suo riformismo impossibile. E’ cominciata l’era delle Grandi Manovre, ovvero dei tagli e degli aggiustamenti che, a causa ma anche con la complicità della crisi economica, i grandi paesi sono costretti a effettuare. Solo che mentre negli altri grandi paesi europei la scelta di razionalizzare la spesa pubblica e ripensare il Welfare è arrivata nel momento più giusto, anche elettoralmente parlando, l’Italia si segnala per il suo totale e completo immobilismo: nell’agenda dell’esecutivo che come guida economica ha il ministro Giulio Tremonti di tutto quello che succede in Inghilterra e Francia (ed è già accaduto in Germania) non c’è nemmeno l’ombra.


LA RICETTA INGLESE - L’obiettivo che si è posto il governo liberal-conservatore di David Cameron è quello di risanare i pesanti Conti pubblici, nel più breve tempo possibile. Per farlo, si è fatto pochi scrupoli. Tagli alla spesa pubblica ma anche nuove entrate che invece dovrebbero gravare sui più abbienti. Fra i settori che subiranno i tagli più consistenti troviamo: la Difesa, la Giustizia, gli Interni. Osborne dice che invece non verranno toccati la sanità e le truppe all’estero. E anche i finanziamenti per le grandi infrastrutture come il London’s Crossrail o il Mersey Gateway, rimarranno invariati. L ’Institute for fiscal studies ha definito le stesse misure come regressive, niente affatto orientate al sostegno dei poveri. In questo, quindi, ci sarebbero delle affinità tra quanto già fatto dal governo conservatore inglese e quanto si appresta (ed ha già fatto negli anni passati), il governo di centrodestra italiano. Ma non c’è solo questo: la manovra di Osborne contiene anche maggiori entrate, per circa il 20 per cento del totale, tasse che i contribuenti più agiati pagheranno di più, sia attraverso una struttura delle aliquote Irpef già irrigidita dal precedente governo, che con prestazioni di welfare (trasferimenti e crediti d’imposta) assoggettate al means testing, cioè al reddito, personale e familiare, attuando quella che evidentemente è una manovra ispirata a criteri di progressività fiscale. Insomma, a Westminster è stata presentata una manovra che, come si dice, “prende il toro per le corna”, entrambi i corni: quello dei tagli e quello delle entrate, con l’obiettivo di riassestare i conti pubblici per davvero.


LA GUERRA FRANCESE DELLE PENSIONI - E la Francia? “Where the streets have no shame”, ha efficacemente titolato l’Economist per dire la sua sulle proteste che l’Exagone sta mettendo in atto per la riforma delle pensioni di Sarkozy. Una rivolta strumentalizzata dalla sinistra per una riforma piuttosto timida, ha detto il settimanale: per riportare il deficit al 3% nel 2013 e al 2% nel 2014, la Francia infine sta per approvare questa contestatissima riforma delle pensioni, contro cui si è levata l’ondata di scioperi, che porta l’età pensionabile da 60 a 62 anni entro il 2018 e prevede di aumentare i contributi previdenziali del settore pubblico portandoli ai livelli di quello privato. Ma è previsto anche l’aumento delle tasse sui redditi. L’articolo più contestato è quello che alza da 65 a 67 anni l’età per andare in pensione con il massimo previsto, ed è stato già approvato al Senato. La gréve ha invaso le piazze, anche se le contestazioni sui numeri (3,5 milioni secondo i sindacati, 1,2 per la polizia) hanno dato un che di italiano a tutto. Ma soprattutto, ha scatenato la guerriglia mediatica da parte delle altre categorie: gli imprenditori della regione Bouche-du Rhône che, esasperati dall’ennesimo sciopero dei portuali marsigliesi (di una parte, in realtà, e neppure maggioritaria), giunto ormai al quindicesimo giorno consecutivo, hanno comprato una pagina del quotidiano economico Les Echos per una pubblicità provocatoria. “Il miglior lavoro del mondo – Diventate un gruista al porto di Marsiglia: 18 ore di lavoro effettivo alla settimana per una retribuzione netta compresa tra i 4mila e i 4.800 euro al mese, con otto settimane di ferie all’anno e un impiego garantito a vita”.

NULLA DI NUOVO SOTTO IL SOLE ITALIANO – Per quanto se ne sa, l’Italia invece dovrebbe optare, ancora una volta, su formule già tracciate. E rispetto alle manovre degli anni scorsi (che andavano presentate entro il 30 settembre) l’attuale strumento dovrebbe rappresentare solo una fotografia della situazione di bilancio esistente, che per quest’anno è quella determinata dalla manovra estiva. Vengono spostati sul 2011-2013 8 miliardi di finanziamenti alle aree sottoutilizzate (Fas) in bilancio per il 2014 e anni successivi (1 miliardo sul 2011, 3 sul 2012 e 4 sul 2013). Inoltre il fondo per la partecipazione italiana alle politiche di bilancio in ambito Ue viene rifinanziato per 5,5 miliardi, a valere sul 2013: si tratta sostanzialmente di un adempimento previsto. I ministri che puntano a nuove misure di spesa dovranno invece attendere il tradizionale decreto di dicembre, cui toccherà anche prorogare una serie di sgravi fiscali che vengono rinnovati di anno in anno: e naturalmente bisognerà trovare la copertura. La stessa che ancora deve essere trovata per la riforma dell’Università, fiore all’occhiello del ministro Mariastella Gelmini. E il federalismo fiscale? Ufficialmente tutti sono al lavoro sui decreti dell’attuazione. Dal cappello a cilindro di Tremonti, Bossi e Calderoli il 7 ottobre scorso è uscita la bozza di un decreto legislativo omnibus, che contiene disposizioni di attuazione per l’autonomia fiscale delle Regioni a statuto ordinario e delle province, nonché la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario. L’Irap non viene abolita confermando che è una tassa invisa, ma di cui difficilmente si potrà fare a meno anche in futuro. Le Regioni potranno diminuirla, ma lo spazio di manovra regionale viene limitato da una specie di “trade-off” tra riduzione dell’Irap ed aumento dell’addizionale regionale all’Irpef, riservato solo agli scaglioni medio alti. Della compartecipazione dell’Iva poco si sa, dei costi standard ancor meno.

Certo, Silvio Berlusconi ha annunciato, finalmente, “una lotta seria contro l’evasione fiscale”. Peccato che sia lo stesso Berlusconi che poco tempo fa definiva “moralmente comprensibile” chi evade e lo stesso presidente del Consiglio che, non più di un anno fa, con l’operazione “Scudo fiscale” ha permesso di riportare, e magari pure ripulire, qualche centinaio di miliardi di capitali “illegalmente” esportati all’estero. Lo Stato ne ha incassato appena il 5%, mentre di quei soldi, nel nostro paese, è effettivamente rimpatriata una quota pari al solo 41%.